L’AMORE È UN’ALTRA COSA

La difficoltà nell’individuazione della condizione patologica delle “donne che amano troppo” risiede anche nei modelli di amore che una persona affettivamente dipendente conserva nella propria memoria e che fanno ritenere determinati abusi e sacrifici di sé come “normali” in nome dell’amore soltanto da pochi anni l’Italia sta interessando clinici e ricercatori che, a diverso titolo,
si occupano del fenomeno delle dipendenze, mentre negli Stati Uniti da più di 30 anni sono condotte ricerche su questa tematica.
La dipendenza affettiva che si verifica nelle relazioni di coppia è uno stato nel quale l’essere ricambiati diventa una condizione indispensabile per la propria esistenza, proprio
come l’assunzione di droga lo è per il tossicodipendente. La dipendenza verso qualcuno che fa soffrire, tanto che ciò avvenga attraverso maltrattamenti all’interno di una relazione, è patologica. Proprio come avviene a chi sviluppa dipendenza per l’alcol, la droga e il gioco d’azzardo, la persona che è dipendente dal punto di vista affettivo diventa pericolosa per se stessa e per gli altri.
L’Istat ha rilevato che la violenza è opera del marito nel 53% dei casi; dell’ex partner nel 18%; del convivente nel 10%; di uno sconosciuto nel 2%. Appare evidente che tra mariti, ex fidanzati e conviventi ci sia un 81% dei casi di violenza sulle donne ad opera di uomini con cui esse stesse hanno instaurato
una qualche relazione intima.
Molto spesso le tremende storie che la cronaca riporta, etichettandole come “femminicidi”, sono in realtà il tragico esito di una patologica dipendenza emotiva, che rende incapaci di vivere senza l’oggetto di dipendenza tanto da preferirlo morto che con qualcun altro. Infatti, i cosiddetti “femminicidi” spesso, scaturiscono da anni di violenze fisiche e psicologiche, nei confronti di donne che spesso appaiono deboli e schiave dei loro carnefici.
“Non posso stare con te” (per il dolore in seguito a umiliazioni, maltrattamenti, tradimenti) “né senza di te”, (per l’angoscia al solo pensiero di perderti). E’ questo il paradosso emotivo che caratterizza la relazione tra “vittima” e “carnefice” della dipendenza affettiva.

E’ possibile definire la dipendenza affettiva come una forma patologica di amore caratterizzata da una costante assenza di reciprocità all’interno della relazione di coppia, in cui uno dei due (nel 99% dei casi la donna) riveste il ruolo di donatore d’amore a senso unico, e vede nel legame con l’altro, spesso
problematico o sfuggente, l’unica ragione della propria esistenza.
Le cause della dipendenza affettiva possono trovarsi proprio nei primi anni di vita di una persona, quando lo sviluppo viene condizionato dal rapporto con i genitori: in questo periodo si forma il sistema che permetterà di gestire gli scambi affettivi e relazionali. Un abbandono da parte dei genitori (o una violenza psicologica o fisica) può compromettere il modo nel quale il bambino vivrà la sua sfera affettiva.
I sintomi più importanti di questo problema sono, solitamente, senso di colpa, gelosia, vergogna, senso di inferiorità e rabbia nei confronti del partner, annullamento di sé, abbassamento dell’autostima e paura di solitudine, cambiamenti, lontananza, abbandono e separazione. La dipendenza si alimenta e si
nutre del rifiuto, della svalutazione, dell’umiliazione, del dolore: non si tratta di provare
piacere nel vivere tali difficoltà, ma di dare
corpo al desiderio di essere in grado di cambiare l’altro, di convincerlo del proprio valore, di salvarlo, riuscendo a farsi amare da chi ama solo se stesso. In realtà, l’equilibrio di coppia si fonda sempre sul dialogo, sul rispetto di sé stessi e sul riconoscimento dell’altro come individuo prima che come partner: se manca uno di questi tre ingredienti occorre ripartire da lì. Il principale problema nella risoluzione delle dipendenze affettive è certamente l’ammissione di avere un problema.
Ma è ben sottolineare che, sebbene esistano dei confini estremamente sottili tra ciò che in una coppia è normale e ciò che, nell’abitudine cronica diviene dipendenza, l’amore è un’altra cosa.



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